Micheal Graves, famoso architetto statunitense degli anni 70 e 80 del secolo scorso si chiede preoccupato sul New York Times il perché sia diventato di moda in certi ambienti dichiarare la morte del disegno di architettura.
Si chiede chi sia l’assassino e la risposta più semplice potrebbe essere il computer.
In realtà credo che sia ben più profonda la causa e in particolare risieda nella malattia culturale che sta stremando la disciplina della composizione architettonica; in alcuni atenei italiani – e immagino anche europei e americani- non si insegna neanche più.
Per non parlare della Storia; non quella degli storici, ma quella degli architetti che facevano il Prix de Rome con il blocco da disegno in mano.
Gli architetti sono diventati non dei pazienti e colti compositori, ma degli artisti o peggio delle archistars; creativi nel senso di creatori ex nihilo di un oggetto tridimensionale che ha perso ogni riferimento valoriale architettonico.
Io la cura ce l’avrei; non è farina del mio sacco, ma del mio professore di Composizione Architettonica all’Università di Firenze, Gian Carlo Leoncilli Massi, un “etrusco” – così lo chiamava Carlo Scarpa- colto e severo che ci ha indirizzato alla riscoperta della storia dell’architettura con il blocco e la matita in mano; il disegno è innanzitutto uno straordinario strumento conoscitivo e compositivo ( “tutto ciò che non ho disegnato, non l’ho visto” Goethe). Ci ha insegnato a cercare le radici teoriche; Vitruvio, Leon Battista Alberti, Vasari; fino ai grandi tentativi di Paul Valery ( l’Eupalinos o l’architetto) o del teorico Cesare Brandi ( Eliante o dell’architettura). Ci faceva leggere persino Dante (eravamo a Firenze), Calvino ( le sue indimenticabili otto lezioni americane), Jean Clear ( Critica alla Modernità).
Il disegno architettonico è uno strumento “inalienabile” dell’architetto; dalla prima idea figurativa su un foglio bianco – quasi una poesia- al primo atto compositivo: il disegno bidimensionale in scala; la pianta, la regina del progetto, e la sezione fino ai dettagli da cantiere disegnati in scala su un blocco per farsi intendere dalle maestranze.
Michelangelo che oltre che scultore, pittore e scrittore fu anche uno splendido architetto diceva: “l’architetto ha le seste negli occhi”. E nel suo “l’uomo artigiano” Sennet spiega eloquentemente come lo sviluppo evolutivo del cervello umano sia strettamente legato all’uso della mano.
Se potessi superare quei sei o otto giri di persone che ci separano direi a Graves di rileggere il De Re Aedificatoria di Leon Battista Alberti ( in latino, se possibile); l’edificio architettonico è un corpo e la definizione albertiana di armonia – la concinnitas universarum partium– è la proporzione armonica, numerica, tra le parti tanto che nulla si può togliere o aggiungere senza turbarla. In questo contesto, il disegno è il lineamentum, il profilo del corpo architettonico, il contorno, a fil di ferro, a matita 4H, diceva il mio Prof. sopracitato.
Non c’è architettura senza disegno perché il disegno è il suo contorno, la sua definizione (descriptio); forse un progetto è solo il rilievo del profilo del corpo architettonico che verrà.